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Negli anni 50 ci fu una vera rivoluzione in Val Trebbia?

Fu un’epoca molto complessa, costellata da grandi instabilità legate al declino di un realtà vitivinicola cooperativa del territorio, che creò grande disorientamento nel tessuto dei viticultori locali.

Si stava sempre di più configurando una necessità di intervento, non solo economico ma anche e soprattutto sociale.

Fisiologicamente sarebbero andati scemando vigneti e poderi che, sulla coltivazione dell’uva, avevano fino a quel momento fondato il loro centro economico e che rappresentavano una grande risorsa naturale.

Fu così che nel secondo dopoguerra Anacleto Bonelli, consapevole di trovarsi in una zona a forte vocazione vinicola intuì la potenzialità del settore e accanto all’attività commerciale di famiglia – un piccolo negozio di alimentari in Val Trebbia – decise di cimentarsi nella pigiatura dell’uva, imparando il mestiere da autodidatta.

Affittò dapprima una ex cantina sociale a Perino e, in un secondo momento, visti gli ottimi risultati, una ex filanda a Rivergaro, paese dove ancora oggi sorge l’azienda. 

Da quel momento Cantine Bonelli divenne un punto di conferimento delle uve del territorio e attraverso la costruzione di una fitta rete di viticoltori garantì la prosecuzione dell’attività, creando valore per il territorio.